European Journal of Education Studies
ISSN: 2501 - 1111
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Volume 2│Issue 12│2016
LE COMPETENZE DI CONSULENZA NEL
DIPARTIMENTO PEDIATRICO DELL'OSPEDALE DI REGIONE
DI SCUTARI, ALBANIAi
Dukata Radojaii
Doct. Student, University European of Tirana, Albania
Abstract:
Each person gives meaning to their experience and act in relationships with others from a set of
premises and personal beliefs that derive from its specific position in the interactive situation, the
experiences previously given to the interaction or those who live in its dealings with the others"
(L. Fruggeri, 1998). The aim of this paper is to offer counseling both as a tool to live
differently interpersonal relations, especially parents / nurses and nurse / nurse, and as
a strategy for change through the construction of a new reality department. Research
questions: How psychological skills can become a useful tool for the nurse? Does
counseling help health professionals to live in a more effective their profession?
"Ogni persona dà senso alla propria esperienza e agisce nelle relazioni con gli altri a partire da
un insieme di premesse e credenze personali che derivano dalla sua specifica posizione nella
situazione interattiva, dalle esperienze vissute precedentemente all’interazione data o a quelle
che vive nei propri rapporti con gli altri" (L. Fruggeri, 1998). Lo scopo di questo lavoro è
quello di offrire consulenza sia come strumento per vivere in modo diverso le relazioni
interpersonali, in particolare i genitori / infermieri e infermiere / infermiera, e come
strategia per il cambiamento attraverso la costruzione di una nuova realtà dipartimento.
Le domande della ricerca:. Come le abilità psicologico possono diventare uno
strumento utile per l'infermiere? Il Counseling può aiutare gli operatori sanitari a vivere
in modo più efficace la loro professione?
THE SKILLS OF COUNSELING ON THE PEDIATRIC DEPARTMENT OF REGIONAL HOSPITAL OF
SHKODRA REGION, ALBANIA
ii Correspondence: email d.radoja@hotmail.com
i
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Keywords: counseling, children, strategy, nurses and parents / counseling, bambini,
strategia, infermieri, genitori
Introduction
Ogni persona dà senso alla propria esperienza e agisce nelle relazioni con gli altri a
partire da un insieme di premesse e credenze personali che derivano dalla sua specifica
posizione nella situazione interattiva, dalle esperienze vissute precedentemente
all’interazione data o a quelle che vive nei propri rapporti con gli altri .
(L. Fruggeri, 1998)
L’obiettivo di questo scritto è quello di proporre il counselling sia come strumento per
vivere in modo diverso le relazioni interpersonali, soprattutto genitori/infermiere e
infermiere/infermiere, sia come strategia per il cambiamento attraverso la costruzione di
una nuova realtà di reparto.
1.
Il contesto
Il reparto pediatrico è parte dell’ospedale regionale di Scutari. Il personale sanitario, è
costituito dal direttore, quattro medici pediatri, seidici infermieri, otto fisioterapisti e
due psiologi.
Il reparto ha la capienza di 4 posti letto. Le patologie piu’ frequenti sono asma
bronchiale, broncopneumonia, infezione virale, diarrea cronica e acuta, malatie
epilettiche, convulsione, faringite. Una volta al mese si svolge una riunione a cui
partecipa l’intero personale sanitario, come momento d’incontro formativo e di
confronto rivolto ai vari operatori del reparto.. Il modello terapeutico dominante nel
repparto sembra essere quello lineare, tipico dell’ambito scientifico, al tempo stesso c’è
un crescente interesse per la cura del bambino, con una maggior attenzione agli aspetti
psicologici, emotivi e relazionali.
Il personale sanitario si occupa dei bambini problematici, anche delle loro
famiglie per brevi e lunghi periodi di tempo in un clima di incertezza per entrambi,
dovuto a momenti di speranza in cui le condizioni di salute del piccolo sembrano
migliorare ed altri di dolore per improvvisi peggioramenti. I genitori del bambino
possono accedervi per poche ore al giorno, per le madri l’orario si prolunga, per
allattare o per rimanere semplicemente accanto al bambino.
Le aspettative delle madri verso le infermiere cambiano nell’arco di tempo della
degenza. Per quanto riguarda i medici l’aspettativa prioritaria dei genitori è quella del
benessere del figlio; il desiderio forte è che si faccia tutto il possibile per garantire la
sopravvivenza del piccolo.
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Quando conoscono meglio il loro bambino e la struttura sanitaria, nutrono verso
il personale infermieristico diversi sentimenti: sono riconoscenti e al tempo stesso
provano invidia, ostilità, alternano momenti di dipendenza ad altri di autonomia nella
gestione del figlio (F.Picelli, 1995).
La relazione genitore/infermiera, soprattutto quella madre/infermiera è
impegnativa proprio per i diversi livelli di complessità a cui si gioca. “ll’infermiera non
viene solo chiesto di alimentare il bambino, di somministrare la terapia, ma viene
chiesto di prendersene cura e occuparsi del piccolo, vuol dire prendere in carico anche
la sua famiglia che è vissuta come ben presente in reparto nonostante lo sia poco
fisicamente. (L. Fruggeri, 1997).
2.
Il counseling come strumento valido dell’infermiere
Fino ad oggi la comunicazione tra operatori sanitari e genitori dei bambini ricoverati era
affidata al buon senso, all’esperienza e alla predisposizione individuale ad interagire
con l’altro, qualità che è presente in chi ha scelto di svolgere una professione d’aiuto
come quella infermieristica. Oggi, l’infermiera deve giocare la propria professionalità
anche sul piano relazionale con l’acquisizione di competenze specifiche.
2.1
Le resistenze al cambiamento
La mia ipotesi iniziale era di intravedere nel counselling una chiave di lettura nuova,
alle complesse relazioni della vita quotidiana del reparto, e a quali resistenze si possano
incontrare Il bisogno di cambiamento nella figure del’infermiere, legato anche ad un
malessere da comunicazione difficoltosa con i medici, le colleghe, e talvolta anche con i
genitori dei piccoli ricoverati che porta a preccupazione e incomprensione sulle proprie
convinzioni. Una resistenza tra le obiezioni più comuni ad una presa in carico della
famiglia, quali:
l’infermiera, impegnata nell’assistenza al bambino e alla sua cura, quando trova il tempo
da dedicare anche ai genitori, e perche’ dovrebbe fare un lavoro extra e non riconosciuto?
Perché coinvolgersi in un rapporto emotivo, mentre abitualmente cerca di fuggirlo?
Perché non lasciare ai genitori di risolvere i loro problemi o sia indirizzarli a uno
specialista come, lo psicologo?
Queste critiche hanno un fondamento, se si considera la patologia al centro del
processo di cura invece che parte di un sistema più ampio. Inoltre buona parte
dell’attività infermieristica, cioè quella inerente gli aspetti tecnici, il saper fare, viene
svolta in base a protocolli, procedure standard e norme rigidamente stabilite.
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2.2
Superamento delle difficolta’
a.
E’ vero che il tempo a disposizione per i genitori è poco, ma se si considera il C.
come un atteggiamento nella relazione può bastare poco. Non si tratta di un lavoro in
più, ma di un modo di lavorare diverso, perché è una diversa modalità di rapportarsi
agli altri che produce dei benefici sia all’utente sia all’operatore stesso. Ogni nostro
comportamento è un messaggio e c’è sempre una relazione quando si somministra una
terapia in presenza del genitore, pur rimanendo in silenzio, gli si trasmette comunque
un messaggio. Il modo in cui ci si prende cura del bambino è già comunicare anche con
i genitori. Queste cose nel contesto lavorativo non sempre il personale è consapevole,
mentre i genitori sono molto attenti, soprattutto se frequentano l’ambiente già da
tempo,
b. L’infermiere, soprattutto quello che opera in una terapia intensiva, in cui il
dolore e la sofferenza sono costantemente presenti mette in atto una serie di meccanismi
per difendersi dallo stato emotivo che tutto questo gli comporta. Spesso il personale
preferisce lavorare in assenza dei familiari, proprio per ridurre il contatto con la
famiglia, non tanto perché si temano critiche o giudizi sul proprio operato, ma per il
carico di angoscia e tormento che l’accompagna. Il counselling consente al
professionista di entrare in relazione con l’altro con tutto se stesso, attraverso la
conoscenza delle proprie risonanze emotive più che la loro soppressione l’emotività
non deve essere negata, ma messa in campo, solo tramite la sua presa di coscienza ed
elaborazione può avvenire un coinvolgimento responsabile con l’altro.
“ttraverso la comunicazione, che parte dal momento dell’accoglienza, è possibile
stabilire tra genitori e personale sanitario una buona intesa, in cui da una parte non vi
sia un atteggiamento di delega completa verso quest’ultimo e d’altra venga riconosciuta
e garantita ai genitori l’opportunità di condividere e partecipare al processo di cura del
figlio. Il counselling infatti riconosce nell’altro una persona che ha in sé le capacità per
superare un momento di crisi e aiuta a farle emergere. In quest’ottica ha senso parlare
di C. In pediatria, perché si tratta non solo di credere nelle capacità dei genitori di far
fronte ad una situazione difficile, ma di vedere in loro delle risorse, riconoscere loro la
dignità di utenti di un servizio e costruire con loro un’alleanza terapeutica.
Può succedere infatti che tra una coppia di genitori ed alcune infermiere si
instaurino dei rapporti privilegiati, che vanno oltre alle richieste e offerte di una
relazione d’aiuto. Si verifica così un cambiamento di contesto in cui l’infermiera, per la
forte implicazione emotiva, perde il proprio ruolo di professionista competente per
scivolare in uno amicale, confidenziale, con i genitori. E’ fondamentale per il personale
saper mantenere il proprio ruolo senza per questo prendere le distanze, emotivamente esserci
senza venirne travolti, la forza contestuale deve essere più forte di quella implicativa.
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La relazione tra utente, famiglia e operatore sanitario è un processo che si
costruisce in modo interattivo che avviene tra i genitori che entrano in reparto con le
loro storie, i loro sistemi di credenze, le loro dinamiche relazionali e le infermiere,
anch’esse portatrici di storie, miti e stili personali nel rapportarsi con gli altri. (Pearce,
1994).
Ciascuno di noi ha il proprio linguaggio individuale, e quando ascoltate un paziente,
dovreste ascoltarlo con la consapevolezza che sta parlando un linguaggio diverso, cio’
chiede capire il paziente nella sua lingua
(M.H.Erickson, 1982)
Ecco perché e’ importante per ogni operatore conoscere meglio se stesso, mettersi
in discussione, le proprie motivazioni alla professione ed anche saper affrontare le
proprie emozioni. Per fare questo, occorre aprirsi all’altro, senza formulare giudizi,
cercando delle ipotesi che vadano oltre il nostro punto di vista e che consentano di
trovare diverse descrizioni e spiegazioni, funzionali al cambiamento di quegli
atteggiamenti, modelli ritenuti scorretti o sbagliati in chi ci troviamo di fronte.
c.
La figura dello psicologo, indicato come il più idoneo ad occuparsi della famiglia e
delle sue problematiche. Questa è una figura richiesta da tempo in reparto perché
riconosciuta importante, ma che non può sostituirsi sul piano comunicativo –
relazionale all’infermiera. In reparto le madri trascorrono la maggior parte del tempo
con le infermiere, è a loro che si rivolgono per informazioni, quando ci sono problemi e
a volte anche per avere chiarimenti su quanto gli viene detto dal medico, perché non
sempre viene compreso chiaramente.
3.
Come puo’ il counseling migliorare la vita al bambino e ai suoi genitori?
Un operatore che si presenta per nome e stringe la mano ad un padre che entra per la
prima volta in reparto pone già le basi per un rapporto futuro di stima e fiducia
reciproca. La prima accoglienza è dunque uno dei compiti infermieristici che richiedono
maggiori capacità relazionali dev’essere il più efficace possibile, pur avendo spesso
poco tempo a disposizione.
E’ un momento cruciale perché si ricevono dal genitore molte informazioni e allo
stesso tempo gli si forniscono le regole di un ambiente al quale lui è del tutto estraneo.
“ttraverso una buona capacità di osservazione è possibile vedere se c’è feed-back e,
verificare se c’è sintonia tra il verbale e il non verbale, in modo da essere sicuri che le
informazioni date siano state recepite (A. Di Fabio, 1999).
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Accogliere il silenzio vuol dire proprio riconoscere l’esistenza di un tempo interiore
nell’altro per il suo dialogo interno e questo consente anche a noi di prenderci tempo, è un
rispettare i propri tempi e quelli dell’altro
(Montanari, Saffioti, 2004)
Essi vorrebbero sentirsi rassicurati, avere la garanzia che il loro figlio un domani potrà
vedere, parlare e muoversi come tutti gli altri, invece spesso, si trovano di fronte a
situazioni che presentano grandi difficoltà nell’essere affrontate, vivono in una
incertezza riguardo al futuro che la medicina non può risolvere, per questo devono
essere aiutati a riprendere il processo di costruzione nonostante la sofferenza, possano
sentirsi compresi, sostenuti e meno soli (A. Caruso, 2004).
Utilizzare il counselling come strumento nel proprio lavoro vuol dire riconoscere
l’ importanza della relazione come costruzione di significati condivisi, dedicare più
tempo all’ascolto dell’altro, formulare ipotesi e cercare strategie per aiutare le famiglie
nel qui ed ora, aiutarle cioè a fronteggiare il difficile momento che stanno attraversando,
a compiere delle scelte, (M. Gonzo, A. Mosconi, M. Tirelli 1999)
Il counselling sistemico, per sua definizione mira ad attivare/incentivare le
capacità di risposta alle difficoltà e di ricerca di soluzioni creative sia da parte
dell’individuo che da parte del sistema coinvolto G.”ert, S.Quadrino, 999 ,.
L’infermiera deve attuare quindi un intervento assistenziale/relazionale volto a
potenziare le risorse dei genitori, in modo che questi possano acquisire una certa
autonomia e capacità decisionale nei confronti del piccolo a tal punto da affrontare la
situazione. (J.Chade, 2002).
Il Counseling utilizzato come atteggiamento nella relazione, è positivo perché di
apertura alle differenze, che porti il proprio punto di vista ad essere uno tra i tanti
possibili e non il migliore. inoltre il dialogo tra gli stessi operatori è fondamentale nel
lavoro di équipe, in cui ognuno nel rispetto dell’opinione altrui deve mettersi in
discussione, superare il proprio modo di vedere le cose e aprirsi al confronto. (E.Giusti,
L.Masiello, 2003).
Conclusioni
La stesura di questo elaborato vuole essere l’opportunità per affrontare il counseling ad
un diverso livello di complessità:, per verificare la sua applicabilità sul piano pratico.
Per questo motivo ho cercato di dimostrare come nel contesto lavorativo, il counselling
sia una competenza utile per la professionalità infermieristica, nei confronti dei bambini
e delle loro famiglie e le operatrici stesse.
Dunque alla domanda se il Counseling, possa servire in ambito sanitario anche
quando il paziente è un neonato, la risposta risulta affermativa, nella misura in cui
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consente alle infermiere di prendersi cura del piccolo in modo più globale, quindi non
solo dal punto di vista patologico, ma come parte di un sistema con cui egli è in
relazione.
La caratteristica della comunicazione fa sì che una relazione positiva, fluida tra
infermiere e genitori e tra le operatrici stesse produca dei benefici per tutti, come
modalità nuova di intendere la cura, in un clima di rispetto e fiducia reciproco tra gli
attori coinvolti.
Le recenti vicende familiari che mi hanno portato a vivere la realtà ospedaliera
dall’altro fronte, quello dell’utenza, hanno sicuramente influenzato queste
considerazioni perché hanno rafforzato in me l’utilita’ di un’ alleanza terapeutica, del
diritto ad un’informazione corretta e completa e di essere considerati fruitori del
servizio e più partecipi al processo di cura.
Quello che ho voluto sottolineare è come una buona capacità relazionale, quale
acquisizione, patrimonio comune degli infermieri sia necessaria, e non debba essere
fraintesa come invazione di altri professionisti, ad esempio lo psicologo.
Chi deve ricorrere alle cure per il proprio figlio si trova in una situazione in cui
gli effetti traumatici che possono subentrare sono tali da richiedere l’intervento di una
figura professionale esperta, quale il counselor, perché è colui che è in grado di
favorire la soluzione di disagi esistenziali di origine psichica.
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